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Essere umani in una tecno-cultura
Che tipo di creature siamo?


Che tipo di creature siamo noi umani? E come si configura il fiorire della vita umana in una “tecnocultura” digitale in piena espansione? Quali svantaggi arrecano le tecnologie digitali al nostro benessere? Sono domande profonde per il XXI secolo.


Siamo degli inventori

La proliferazione dei media digitali, al pari di ogni altra innovazione tecnologica, testimonia che l’Homo sapiens, cioè l’uomo che sa, è anche, per sua natura, Homo faber, ovvero l’uomo che crea. “Il fuoco dell’invenzione”,[1] come lo definisce l’economista Michael Novak, arde nel grembo dell’essere umano.


Nel principio, “l’Eterno Iddio prese dunque l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo lavorasse e lo custodisse” (Genesi 2:15). Il mandato di Dio ad Adamo e alla sua discendenza, di dominare “… sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla terra” (Genesi 1:28), si estendeva anche a tutto ciò che non è vivente. E in effetti, nelle pagine della Genesi, vediamo l’uomo impegnato nella costruzione di arnesi, imbarcazioni, armi e città. Questo invito divino, noto anche come “mandato culturale”, è una tacita spinta a creare tecnologie e cultura.


La creatività è una di quelle qualità che il Signore ha donato alle Sue creature umane. E creare è proprio ciò che dobbiamo fare. L’inventiva e l’innovazione sono intessute nella trama della nostra natura umana. Così sviluppiamo, miglioriamo, conquistiamo, sottomettiamo e gestiamo le risorse naturali e non solo, compreso il nostro corpo. In generale, dovremmo celebrare, promuovere e riconoscere la creatività come un dono divino.


Siamo "animali sociali"

Fin dall’inizio dei tempi, gli esseri umani hanno desiderato e tratto beneficio dalla vita in comunità. Anche se per Dio la Sua nuova creazione era buona sotto ogni aspetto, non era bene che l’uomo vivesse da solo (cfr. Genesi 2:18). La tecnologia ha contribuito in modo significativo alla costruzione delle comunità. Dalla fattoria di famiglia alla realizzazione di piccoli centri urbani e grandi metropoli, dimostriamo di essere creature sociali. I sistemi di depurazione delle acque, l’elettricità, i telefoni, i computer e le tecnologie come il WiFi ci aiutano nella gestione di comunità sempre più dense e popolate. Oggi, il termine “connettività” è una parola in voga perché, tra le altre cose, sottolinea il nostro impegno a coltivare reti sociali che si estendono oltre i confini geografici, demografici e culturali.


Siamo inclini al gioco

Il gioco è un’espressione spontanea della nostra creatività e del bisogno di socialità. Due persone insieme, che si trovano libere per un attimo dalle fatiche quotidiane, inevitabilmente finiranno per giocare e competere tra loro. È facile immaginare che Adamo ed Eva giocassero nel giardino di Eden. Josef Pieper ha sostenuto con forza che il tempo libero è il terreno su cui germoglia la cultura. L’intrattenimento, nella sua migliore accezione, è una forma di svago, un rifugio per l’anima dalle pressioni delle preoccupazioni della vita, la cultura della frenesia e il fardello dei doveri. La tecnologia non soltanto ci aiuta a ricavare più tempo libero svolgendo alcune mansioni con maggiore efficienza, ma è essa stessa anche una vasta fonte di intrattenimento. La radio, la televisione, i videogiochi e i social network basati sul web sono forme di intrattenimento ampiamente diffuse in gran parte del mondo.


Siamo esseri che compiono scelte

Gli esseri umani sono dotati di volontà. David Nye, filosofo della tecnologia, ci ricorda che “le macchine non sono come meteore che irrompono inaspettatamente dall’esterno e hanno un ‘impatto’. Al contrario, gli esseri umani compiono delle scelte deliberate nel processo di invenzione, commercializzazione e utilizzo di un nuovo dispositivo”.[2]

Sebbene a volte si abbia l’impressione che la tecnologia sia inevitabile, possiamo e dobbiamo resistere di fronte a certe innovazioni. Non perché possiamo fare una cosa dovremmo farla, né tantomeno dobbiamo farla. Anche quando una tecnologia digitale diffusa come la messaggistica istantanea è così pervasiva, non significa che siamo obbligati a controllare ossessivamente i nostri telefoni. Tuttavia, come evidenzia la sociologa Sherry Turkle, la chiave per contrastare questa tendenza risiede nella volontà di “ripensare la tecnologia e il modo in cui la integriamo nella nostra vita”.


Siamo esseri desideranti

I nostri desideri, i nostri amori e i nostri affetti nutrono le nostre abitudini. Per citare il titolo di un libro di Jamie Smith: “Si è ciò che si ama”.[3] Oppure, come scriveva Agostino d’Ippona, il peccato è desiderio disordinato, un affetto disordinato. La vita cristiana si espleta in un continuo riordino dei nostri desideri per orientarli verso l’amore di Dio. Dobbiamo amare il Signore con tutto il cuore, amare il prossimo come noi stessi, gioire nella relazione con Lui e godere delle cose che ha creato. Gesù ha detto: “L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene e l’uomo malvagio dal malvagio tesoro del suo cuore trae fuori il male, poiché dall’abbondanza del cuore parla la sua bocca” (Luca 6:45).


Siamo incarnati

Tutti gli esseri umani sono legati alla corporeità. Dal concepimento alla morte, e dalla risurrezione all’eternità, la nostra esistenza si concretizza in un corpo. Apprendiamo della natura corporea dell’uomo non soltanto dal racconto della Genesi, dove si narra che il Signore formò il corpo di Adamo dalla polvere della terra (vd. Genesi 2:7), ma anche e soprattutto dalla venuta dell’uomo-Dio, Gesù Cristo. Come recita l’inno “Hack the Herald Angels”, Gesù, “il frutto del grembo di una vergine”, è Dio perfetto e uomo perfetto. Fin dal concepimento, Gesù assume la natura umana in tutta la sua pienezza. Oppure ancora, come dice l’apostolo Giovanni nel suo Vangelo, la buona notizia di Gesù, “… la Parola è stata fatta carne e ha abitato per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità, e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come quella dell’Unigenito venuto dal Padre” (Giovanni 1:14).


Mediante l’incarnazione, l’atto in cui di Dio si fa carne in Gesù Cristo, il Signore eleva il corpo umano a una dimensione sacra. La nostra umanità è uno stato di esistenza corporea, proprio come l’umanità di Gesù. Il dualismo radicale non è solamente un’antropologia sbagliata, ma anche una cristologia distorta.


Siamo limitati e imperfetti

In sintesi, non siamo Dio. Infatti, la nostra confessione dottrinale afferma che dalla polvere veniamo e alla polvere ritorneremo (cfr. Ecclesiaste 3:20). Nonostante le innumerevoli e meravigliose conquiste umane, siamo creature limitate e mortali. Solamente il Signore è onnipresente, onnipotente e onnisciente. Siamo limitati nel tempo e nello spazio: possiamo essere presenti soltanto in un posto alla volta. Anche le nostre facoltà, mentali, emotive, spirituali e fisiche, hanno dei limiti.


La nostra conoscenza è imperfetta, per quanto riguarda l’intelligenza e la memoria innate. Pertanto, non siamo in grado di prevedere ogni possibile conseguenza delle nostre decisioni. Inoltre, non soltanto siamo limitati moralmente, ragione per cui non sempre scegliamo ciò che è meglio per noi, ma anche a causa della nostra natura peccaminosa, a volte scegliamo ciò che danneggia noi stessi e gli altri. Per questo motivo, chiediamo a Dio di perdonare i nostri peccati, sia quelli di commissione sia quelli di omissione (cfr. Salmo 19:12).



[1] Michael Novak, The Fire of Invention: Civil Society and the Future of the Corporation, Rowman & Littlefield, 1999.

[2] David E. Nye: “Shaping Communication Networks: Telegraph, Telephone, Computer”, in Technology and the Rest of Culture, ed. Arien Mack, Ohio State University Press, 1997, p. 125.

[3] James K. A. Smith, You Are What You Love: The Spiritual Power of Habit, Brazos, 2016.





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