La parola “disciplina” deriva dal latino disciplina, che significa “insegnamento”, “istruzione”, “educazione”, “formazione”. A sua volta, è connessa al verbo discere, cioè “imparare”. Alla base c’è quindi l’idea di apprendimento che si ottiene attraverso l’aiuto di una guida, che implica un rapporto tra maestro e discepolo, soprattutto quando quest’ultimo sia o si senta a lui legato da stretti legami spirituali e intellettuali (discipulus, ovvero “colui che impara”).
Nel tempo, il termine ha assunto anche il significato di correzione o rieducazione attraverso norme o rimproveri, specialmente in contesti morali, religiosi o comunitari. Nella sua radice più profonda, però, la disciplina non è mai mera punizione, ma un percorso educativo volto a riportare la santità, la crescita e la maturità cristiane.
La parola “disciplina” nel contesto neotestamentario
Nel Nuovo Testamento, la “disciplina” nell’ambito della chiesa locale è un atto pastorale e spirituale, mirato a preservare la santità della comunità dei credenti e a guidare il fratello o la sorella nel peccato verso il ravvedimento e il ristabilimento.
Parole greche associate al concetto di disciplina
Nel testo greco del Nuovo Testamento, il concetto di disciplina è espresso attraverso vari termini, tra cui:
παιδεία (paideía) – Significa “educazione” o “correzione” formativa, come quella di un padre verso il figlio (cfr. Ebrei 12:6, 7, 11).
ἐλέγχω (elénchō) – “Riprendere”, “confutare”, “correggere” chi è nell’errore (cfr. Tito 1:13).
νουθετέω (nouthetéō) – “Ammonire”, “esortare con fermezza e amore” (I Tessalonicesi 5:14).
Disciplina nella chiesa: riferimenti chiave.
La base del procedimento disciplinare (cfr. Matteo 18:15-17)
Qui Gesù descrive un processo progressivo di correzione: privata, con testimoni e, in caso di mancanza di ravvedimento e nel caso il problema coinvolga l’intera comunità, pubblica. L’obiettivo non è punire, ma riconciliare.
Esempio di disciplina pubblica (cfr. I Corinzi 5:1-13)
Paolo interviene su un caso grave di immoralità all’interno della chiesa di Corinto e ordina: “Togliete il malvagio di mezzo a voi” (I Corinzi 5:13).
La motivazione? “Un po’ di lievito fa lievitare tutta la pasta” (v. 6): la santità della chiesa è in pericolo. Ma anche qui, lo scopo è il recupero del peccatore: “… quel tale sia dato in mano a Satana, per la distruzione della carne, affinché lo spirito sia salvo nel giorno del Signore Gesù” (v. 5).
Non avere relazioni con gli indisciplinati (II Tessalonicesi 3:14, 15)
Anche qui vediamo che la disciplina non è esclusione punitiva, ma un richiamo all’ubbidienza e al ravvedimento.
Che cos'è quindi la disciplina?
La disciplina nella prospettiva biblica, perciò, non è mai una semplice sanzione da infliggere, ma è piuttosto:
• Un’ammonizione amorevole (nouthetéō)
• Una correzione formativa (paideía)
• Un richiamo alla verità (elénchō)
Il cui scopo è sempre volto al recupero e alla santificazione (cfr. Matteo 18:15, I Corinzi 5:5).
Essa è esercitata per il bene dell’individuo e per la salute spirituale della chiesa, riflettendo il carattere di Dio, che corregge per amore (Ebrei 12:6).
Un indicatore importante di una chiesa sana
La disciplina biblica della chiesa deriva direttamente dalla comprensione biblica del concetto di appartenenza alla chiesa stessa. L’appartenenza, infatti, traccia una linea di confine intorno alla chiesa, che la separa dal mondo. La disciplina aiuta la chiesa che vive al di là di tale confine a rimanere fedele alle cose che sono la ragione per cui tale confine è stato tracciato. La disciplina dà significato all’essere membro della chiesa ed è un altro segno importante di una comunità cristiana sana.
Che cos’è esattamente la disciplina ecclesiastica? In senso lato, la disciplina è un insegnamento; in un senso più ristretto, alcune discipline sono correttive; in senso ancora più stretto, è l’atto di escludere qualcuno che si dichiara cristiano dall’appartenenza alla chiesa e dalla partecipazione alla Cena del Signore a motivo di un grave peccato impenitente, un peccato che si rifiuta di abbandonare.
Immaginare il carattere di Dio
Per comprendere la disciplina ecclesiastica, può essere utile ricordare gli scopi di Dio nella creazione dell’universo, dell’umanità, di Israele e della Chiesa. Dio ha creato l’universo per manifestare la Sua gloria. Poi Egli ha creato l’umanità per lo stesso scopo, in particolare creandoci a Sua immagine e somiglianza (Genesi 1:27). L’umanità, Adamo ed Eva, non è riuscita a mostrare la gloria di Dio, e così il Signore ha dovuto escludere l’uomo dal giardino dell’Eden (Genesi 3:23).
Dio chiamò poi Israele a mostrare la Sua gloria (Isaia 43:21), in particolare la Sua santità e il Suo carattere alle nazioni, così come erano stati rivelati nella Legge (cfr. Levitico 19:2; Proverbi 24:1, 25). Nel corso della storia, questa legge è servita per correggere e persino escludere alcune persone dalla comunità (cfr. Numeri 15:30, 31). Infine, è stata la base per escludere Israele stesso dalla terra ricevuta in eredità (Deuteronomio 9:16, 17).
Infine, Dio ha creato la Chiesa, come abbiamo detto, perché rifletta sempre più il Suo carattere, come è stato rivelato nella Sua Parola (Efesini 2:4-7). In linea con la trama dell’intera Bibbia, quindi, la disciplina ecclesiastica è l’atto di escludere (temporaneamente) un individuo che non si impegna a cambiare e porta discredito alla Parola di Dio con noncuranza. La disciplina aiuta la chiesa a riflettere fedelmente il carattere glorioso di Dio e a rimanere santa. È un tentativo di lucidare lo specchio e di rimuovere le macchie (vedere II Corinzi 6:14; 7:1; 13:2; I Timoteo 6:3-5; II Timoteo 3:1-5). Perché la disciplina? Perché il carattere santo e amorevole di Dio possa apparire più chiaramente e risplendere di più (Colossesi 1:27, 28).
Come funziona?
Come si articola il processo di disciplina? Poiché le circostanze in cui si verifica il peccato variano notevolmente, è necessaria la saggezza pastorale per poter affrontare ogni situazione in modo specifico.
Detto questo, le parole di Gesù in Matteo 18 forniscono i confini generali (Matteo 18:15-17). Iniziate rivolgendovi in privato al fratello o alla sorella che ha peccato; se il peccatore si ravvede, il processo di disciplina termina. In caso contrario, tornate una seconda volta con un altro credente e, se ancora non si ravvede, come dice Gesù, “se rifiuta di ascoltarli, dillo alla chiesa e, se rifiuta di ascoltare anche la chiesa, sia per te come il pagano e il pubblicano” (Matteo 18:17), cioè come un estraneo.
Giudicherai?
Questa idea può sembrare ostica a molte persone oggi. Inoltre, Gesù non ha forse proibito ai Suoi discepoli di giudicare gli altri? In un certo senso, è vero: “Non giudicate affinché non siate giudicati” (Matteo 7:1). Tuttavia, nello stesso Vangelo, Gesù ha anche invitato le chiese a usare discernimento e, se necessario, a rimproverare pubblicamente i loro membri che peccano (Matteo 18:15-17; cfr. Luca 17:3). Quindi, con il comando “non giudicate” Gesù non intendeva escludere tutto ciò che oggi potrebbe essere genericamente definito come “esaminare” per discriminare (I Tessalonicesi 5:21, 22).
Certamente Dio stesso è il Giudice… Egli ha giudicato Adamo nel giardino dell'Eden, nell’Antico Testamento ha giudicato sia le nazioni sia gli individui e nel Nuovo Testamento promette che i cristiani saranno giudicati secondo le loro opere (cfr. I Corinzi 3:10-15). Ancora Egli promette che, nell’ultimo giorno, si rivelerà come il Giudice finale di tutta l’umanità (cfr. Apocalisse 20:11-13).
Nel Suo giudizio, Dio non sbaglia mai (Salmo 92:15). È sempre giusto (cfr. Giosuè 7; Matteo 23:1-36; Atti 5:1-11; Romani 9:14). A volte il Suo scopo nel giudizio è correttivo, redentivo e riparatore, come quando corregge i Suoi figli; altre volte i Suoi scopi sono retributivi, punitivi e definitivi, come quando esercita la Sua ira sugli empi (cfr. Romani 1:18). In ogni caso, come detto, il giudizio di Dio è sempre giusto (Salmo 119:75).
Ciò che può sorprendere molti oggi è che Dio si serve occasionalmente di esseri umani per eseguire il Suo giudizio. Lo Stato ha la responsabilità di giudicare i propri cittadini (cfr. Romani 13:1-5), i cristiani devono giudicare sé stessi (cfr. I Corinzi 11:28, 31; Lamentazioni 3:40; II Corinzi 13:5) e alle con-gregazioni viene detto di giudicare occasionalmente anche i membri della chiesa, anche se non nel modo definitivo in cui Dio giudica.
In Matteo 18, I Corinzi 5 e 6 e altrove, la chiesa viene istruita a esercitare il giudizio al suo interno e questo giudizio ha uno scopo redentivo (Ebrei 12:13), non punitivo (Romani 12:19). È in questo contesto che Paolo disse alla chiesa di Corinto di “consegnare” l’uomo adultero a Satana “per la distruzione della carne, affinché lo spirito sia salvo nel giorno del Signore Gesù” (I Corinzi 5:5). Lo stesso Paolo dirà a Timoteo riguardo ai falsi insegnanti di Efeso (I Timoteo 1:20).
Chiuso o aperto?
Non c'è da sorprendersi che Dio ci chiami a esercitare determinate forme di giudizio o di disciplina. Se le chiese si aspettano di avere qualcosa da dire su come i cristiani vivono, dovranno dire qualcosa su come i cristiani non vivono. Tuttavia, temo che il modo in cui molte chiese affrontano il discepolato sia come versare acqua in secchi forati: tutta l’attenzione è rivolta a ciò che viene versato, senza pensare a come viene ricevuto e conservato. Un segno evidente di questa tendenza è il declino della disciplina ecclesiastica nelle ultime generazioni.
Uno scrittore che si occupa di crescita delle chiese ha recentemente riassunto la sua strategia per far crescere le chiese dicendo: “Apri la porta principale e chiudi quella posteriore”. Con questo intende dire che le chiese dovrebbero aprirsi agli esterni e, allo stesso tempo, offrire un servizio di assistenza spirituale migliore. Questi sono obiettivi lodevoli, tuttavia, ho il sospetto che la maggior parte dei pastori e delle chiese di oggi aspiri già a raggiungerli, ma in modo sbagliato. Permettetemi quindi di proporre una strategia che ritengo più biblica: sorvegliare la porta principale e lasciare aperta quella posteriore. In altre parole, da un lato rendere più difficile l’adesione, dall’altro rendere più facile l’esclusione. Ricordate: il sentiero della vita è stretto, non largo. Credo che questo possa aiutare le chiese a recuperare la separazione dal mondo che è stata loro assegnata divinamente.
Uno dei primi passi nell’esercizio della disciplina, quindi, è prestare maggiore attenzione nell’accogliere nuovi membri. Ogni individuo che richiede l’adesione dovrebbe dare prova di comprendere la natura di una vita che onora Cristo. I candidati membri trarranno beneficio dal sapere cosa la chiesa si aspetta da loro e acquisteranno consapevolezza sull’importanza dell’impegno. Se le chiese sono più attente a riconoscere e accogliere i nuovi membri, avranno meno occasioni di ricorrere a una disciplina di chiesa correttiva in seguito.
Fare disciplina
Va detto, però, che la disciplina ecclesiastica può essere esercitata in modo sbagliato. Il Nuovo Testamento ci insegna a non giudicare (condannare) gli altri per i motivi che potremmo imputare loro (cfr. Matteo 7:1), né a giudicarci a vicenda su questioni che non sono essenziali (cfr. Romani 14:1-15:7). Nel mettere in atto la disciplina, il nostro atteggiamento non deve essere vendicativo, ma amorevole, con un approccio “pieno di pietà e timore” (Giuda 23). Non si può negare che la disciplina ecclesiastica sia irta di problemi di saggezza e di applicazione pastorale, ma dobbiamo ricordare che l’intera vita cristiana è difficile e soggetta agli abusi; le nostre difficoltà, pertanto, non devono essere usate come scusa per lasciare qualcosa di non praticato.
Ogni chiesa locale ha la responsabilità di valutare, alla luce della Parola di Dio, la vita e l’insegnamento dei suoi conduttori e dei suoi membri, in particolare quando uno dei due compromette la testimonianza dell’Evangelo da parte della chiesa (cfr. Atti 17; I Corinzi 5; I Timoteo 3; Giacomo 3:1; II Pietro 3; II Giovanni).
La disciplina biblica della chiesa si basa sull'ubbidienza al Signore e sulla confessione di aver bisogno di aiuto. Riuscite a immaginare un mondo in cui Dio non si sia mai servito dei nostri simili per attuare il Suo giudizio, in cui i genitori non abbiano mai disciplinato i figli, in cui lo Stato non abbia mai punito i trasgressori della legge e in cui le chiese non abbiano mai rimproverato i loro membri? Arriveremmo tutti al giorno del giudizio senza aver mai sperimentato la sferza del giudizio terreno e senza essere stati avvertiti del giudizio più grande che ci attende. Quanto è misericordioso il Signore nell’insegnarci ora la giustizia irrevocabile che verrà con questi castighi temporanei! (cfr. Luca 12:4, 5).
Ecco cinque ragioni positive per praticare la disciplina correttiva nella chiesa:
1) il bene dell’individuo che viene disciplinato;
2) gli altri cristiani, che vedono il pericolo del peccato;
3) la salute della chiesa nel suo insieme;
4) la testimonianza comunitaria della chiesa e, quindi, dei non cristiani che ne fanno parte;
5) la gloria di Dio.
La nostra santità dovrebbe riflettere la santità di Dio e il fatto di essere un membro della chiesa non dovrebbe essere motivato dal nostro orgoglio, ma dal nome del Signore. Come detto, la disciplina biblica della chiesa è un altro segno importante di una chiesa sana.
Una guida per scoprire il vero valore della disciplina cristiana
Spesso fraintesa o ignorata, la disciplina nella chiesa è in realtà uno degli strumenti più efficaci che Dio ha donato al suo popolo per crescere in santità e unità.
In questo manuale chiaro, biblico e pratico, Bobby Jamieson illustra come la correzione fraterna rappresenti una manifestazione concreta dell’amore cristiano, anziché una forma di giudizio.
Attraverso sei lezioni ideali per piccoli gruppi e Scuole Domenicali, il libro guida i lettori a riscoprire la disciplina come:
Formazione spirituale continua;
Incoraggiamento reciproco basato sulla verità;
Strumento di pentimento e riconciliazione.
Un percorso basato sulla Scrittura per costruire comunità sane, autentiche e fedeli al Vangelo.
ORDINA LA TUA COPIA