Contrariamente a quanto sostengono alcuni esperti di leadership, i pastori sono chiamati alla cura delle anime.
Il loro compito non è raccogliere fondi, costruire edifici, attirare le folle o conformarsi agli standard di successo del mondo, ma provvedere e proteggere, nutrire e guidare, insegnare e soddisfare le necessità spirituali delle persone.
In questo momento in cui è necessario fondare, risvegliare e rigenerare le chiese, abbiamo bisogno di pastori devoti e radicati nella Bibbia, che trovino l’elenco delle loro mansioni nelle Scritture e non nei manuali di marketing o di auto-aiuto. In definitiva, i pastori devono essere un esempio della pietà prodotta dal Vangelo.[1] Nella sua lettera a Tito, Paolo delinea quattro caratteristiche fondamentali del pastore devoto.
Deve essere un uomo fedele agli impegni presi (Tito 1:5, 6)
Paolo spiega di aver lasciato Tito a Creta per due ragioni. In primo luogo, affinché egli desse: “… ordine alle cose che rimangono da fare …”, ovvero per mettere in ordine la situazione, proprio come un dentista raddrizza i denti storti. Inoltre, Tito doveva nominare: “… degli anziani per ogni città …”, come gli era stato “ordinato”.
Sebbene la questione sia fonte di dibattito per alcuni credenti, la lettura più naturale delle Scritture suggerisce che nella chiesa del I secolo vi fossero due cariche: anziani e diaconi.
Nei testi biblici, i termini “anziano”, “sorvegliante/supervisore” e “pastore” vengono usati in modo intercambiabile per indicare la guida della chiesa. I diaconi, invece, sono “servi che amministrano”.[2]
Il primo e più generale requisito di un pastore è che egli sia “irreprensibile”, ovvero ineccepibile, senza macchia. Da questa qualità distintiva scaturiscono tutte le altre caratteristiche morali. Il concetto è talmente importante che Paolo lo ribadisce nel versetto 7. Il termine indica qualcuno che non è passibile di accuse e che non lascia spazio a dubbi riguardo al proprio carattere e alla propria integrità. La vita di chi è irreprensibile è degna di essere vissuta ed è un esempio che vale la pena seguire.
Segue poi l’indicazione che l’anziano deve essere “marito di una sola moglie”, il che significa che deve essere un uomo monogamo. Questo implica che, se sposato, deve essere innamorato di una sola donna, impegnato con una sola donna e devoto a una sola donna: sua moglie. Non si tratta semplicemente di proibire la poligamia, ma di richiedere un’adesione totale alla fedeltà coniugale. Non è probabile che Paolo stesse escludendo i vedovi o i celibi dal ministerio, ma piuttosto affermando che chi è sposato deve essere un modello di fedeltà.
È altresì molto probabile che un uomo colpevole di adulterio sia da considerarsi inadatto alla leadership. Ciò che è certo è che corteggiare altre donne o avere una dipendenza dalla pornografia sono comportamenti incompatibili con il ministerio e squalificano un uomo dalla leadership nella chiesa di Dio. Tutte queste applicazioni derivano dall’aspettativa di irreprensibilità e di fedeltà alla propria moglie.
Strettamente legata alla fedeltà coniugale è la fedeltà verso i figli. Il requisito di avere dei figli fedeli o credenti sottolinea l’importanza dell’autorità all’interno della famiglia, che rappresenta il primo banco di prova per la leadership nella chiesa (I Timoteo 3:5). Questo significa che, mentre sono sotto la sua autorità e vivono sotto il suo tetto, i figli del pastore devono essere rispettosi, ben educati e ubbidienti.
La loro salvezza è, ovviamente, una speranza, ma il comportamento disciplinato è una necessità. Un leader devoto, e padre devoto, farà tutto il necessario, dedicando tempo e attenzione per crescere i propri figli nella disciplina e nell’insegnamento del Signore (Deuteronomio 6:4-9; Efesini 6:4).
Deve essere un uomo dal comportamento santo (Tito 1:7)
I pastori sono chiamati a essere supervisori, ovvero amministratori della svariata grazia di Dio, con il compito di guidare e vegliare sulla chiesa.[3] Paolo ribadisce ancora una volta la necessità che il pastore “bisogna che sia irreprensibile”, sottolineando che questa qualità è imprescindibile, non opzionale.
Ciò riguarda la sua vita dentro e fuori dalla chiesa: nella comunità e nel quartiere, al ristorante e in lavanderia, al supermercato e dal benzinaio. Inoltre, il “vescovo” è chiamato a gestire la famiglia di Dio come un amministratore responsabile, consapevole che dovrà rendere conto direttamente al Signore. Se qualcuno non comprende la serietà di questa posizione, allora non è adatto al ministerio.
Paolo elenca quindi undici qualità caratteriali che devono distinguere l’uomo di Dio. Le prime cinque, citate nel versetto 7, riguardano ciò che deve essere assente nella sua vita; le altre sei, nel versetto 8, sono qualità positive che deve possedere.
Innanzitutto, non deve essere “arrogante”, ovvero egoista ed egocentrico. Questo termine descrive una persona che pensa esclusivamente a sé stessa, senza alcun riguardo per la volontà di Dio o per i bisogni del prossimo.
Non deve essere “iracondo”, cioè incline alla collera. Un pastore non deve avere un carattere impulsivo o essere soggetto a scatti d’ira. Invece, deve manifestare uno spirito calmo che rifletta la gentilezza e la mitezza di Cristo (I Timoteo 3:3; II Corinzi 10:1).
Non deve essere “dedito al vino”, ossia un alcolizzato o qualcuno che beve abitualmente fino a perdere la lucidità mentale e la capacità di giudizio. Pur potendo esistere opinioni diverse sull’astinenza totale, non vi deve essere alcun disaccordo sulla peccaminosità dell’ubriachezza. L’unica ebbrezza che il credente dovrebbe sperimentare è quella dello Spirito Santo (Efesini 5:18).
Inoltre, un anziano non deve essere “violento”. Non può essere un rissoso, un bullo (cfr. I Pietro 5:3), incline agli scatti d’ira o agli attacchi verbali e fisici. I vescovi/pastori devono edificare la chiesa, non distruggerla con parole o azioni improprie.
Infine, non deve essere “avido di disonesto guadagno”. Il pastore non deve vedere il ministerio come un mezzo per arricchirsi. Il suo obiettivo non è il denaro, ma la gloria di Dio (cfr. I Pietro 5:2; I Timoteo 6:10).
Deve essere un uomo dal carattere santo (Tito 1:8)
I primi due tratti caratteriali positivi sono “ospitale” e “amante del bene”. Essere “ospitale” significa che l’anziano è una persona che apre il proprio cuore e la propria casa al prossimo. Aiuta chi è nel bisogno, sia esso amico o estraneo, credente o non credente. Nessuna distinzione di razza, condizione sociale o stile di vita deve impedirgli di amare e aiutare gli altri. È proprio in questo contesto che la bellezza e la verità del Vangelo si manifestano agli occhi di tutti.
La frase “amante del bene” descrive un uomo che ama la virtù e che è appassionato di ciò che Dio definisce buono (cfr. Filippesi 4:8). Questo amore per il bene modella le sue priorità e il suo stile di vita.
L’aggettivo “assennato” caratterizza una persona con la giusta prospettiva, padrona di sé, sobria, in grado di controllare sia la propria mente sia le proprie emozioni.[4] Ha una visione della vita precisa ed equilibrata, giudica e agisce con saggezza e buon senso. Egli vede la vita dal punto di vista di Dio e si comporta di conseguenza.
Un anziano deve essere anche “giusto” e “santo”, affinché la chiesa possa seguirlo e imitare il suo modo di trattare il prossimo e il suo stile di vita. Essere “giusto” significa essere equo, imparziale e onesto nei rapporti con gli altri. Essere “santo” indica purezza e integrità morale. L’anziano deve essere un uomo consacrato alla pietà e alla somiglianza con Cristo, impegnato a vivere una vita priva di contaminazioni e macchie morali.
Infine, un pastore deve essere “temperante”. Questo significa che ha pieno controllo di sé, delle proprie passioni e dei propri impulsi, ponendo la propria volontà sotto la guida del Dio che ama e in cui confida. Ogni giorno si esamina alla luce della perfetta Parola di Dio, permettendo che essa lo trasformi. Un tale autocontrollo è possibile solo se la persona si lascia guidare dalla Parola di Dio e dallo Spirito Santo.
Deve essere un uomo dalle convinzioni sante (Tito 1:9)
A questo punto, Paolo passa dai requisiti personali dell’anziano a quelli ministeriali e dottrinali. Un insegnamento sbagliato conduce inevitabilmente a una vita sbagliata. Se le convinzioni sono errate, anche il modo di vivere ne sarà influenzato. Per questo motivo, non può esserci alcun compromesso quando si tratta della verità e del suo insegnamento.
La prima convinzione che un anziano deve avere è quella di essere “attaccato alla Parola fedele come gli è stata insegnata …”. Questa Parola è il Vangelo, anche se non si limita soltanto a esso, ma a tutte le Scritture. Lo si comprende dalla frase successiva: “sana dottrina”. La sana dottrina non è soggetta a discussione o revisione; è stata trasmessa una volta per sempre. Il ministro fedele è un uomo della Parola: la ama, la predica, la difende e si sottomette ad essa con gioia e umiltà. Egli è un servo vincolato alla Parola e prigioniero della sua verità. In sintesi, predicherà soltanto e unicamente questa Parola, perché essa è la manifestazione della sana dottrina.
L’anziano fedele è, al tempo stesso, un insegnante e un protettore, un predicatore e un medico. Si aggrappa saldamente alla fedele Parola di Dio affinché possa sia incoraggiare con la sana dottrina sia confutare coloro che la contraddicono. Quando si trova di fronte a un insegnamento falso, superficiale o dannoso, egli lo smaschera con la verità della sana dottrina (letteralmente il “sano insegnamento”). Questo è un compito che svolge con costanza e determinazione.
Le priorità degli anziani devono essere biblicamente e teologicamente equilibrate. Essi incoraggiano i credenti con affermazioni teologiche solide e contestano le falsità con confutazioni apologetiche, anche se queste possono risultare scomode. Sanno bene quanto sia pericoloso ingerire veleno teologico, soprattutto quando è ricoperto di zucchero! Le convinzioni sante non sono in vendita e non possono essere negoziate.
Perché un anziano possa assolvere a questo compito, la sua vita e il suo messaggio devono essere in perfetta armonia. Il pastore devoto non è soltanto un uomo che insegna la verità, ma è anche un uomo che la vive.
Letture consigliate
Riflessione
Nel suo testo classico The Reformed Pastor, Richard Baxter avverte saggiamente:
Badate a voi stessi, affinché il vostro esempio non contraddica la vostra dottrina ... affinché la vostra condotta non ammutolisca le vostre parole e ciò sia di più grande ostacolo al buon esito delle vostre fatiche.[5]
Il pastore fedele non deve mai cadere in questa contraddizione. Per la gloria di Dio e il bene del Suo popolo, le sue azioni devono rispecchiare le sue convinzioni; ciò in cui crede deve corrispondere al modo in cui vive. Soltanto allora sarà un leader degno di fiducia. Soltanto allora sarà un leader degno di essere seguito.
Praticare quello che predichiamo
Un libro che ci ricorda che la verità biblica non è soltanto da conoscere, ma da incarnare nella vita quotidiana, affrontando temi come:
• L’importanza della sana dottrina per una fede autentica.
• Il legame tra salvezza e santificazione personale.
• La necessità di una vita caratterizzata da integrità e buone opere.
• Il ruolo della disciplina nella chiesa.
Uno strumento prezioso per la crescita spirituale personale e lo studio comunitario.
La verità del Vangelo cambia la vita – e questa lettera di Paolo a Tito ci esorta a vivere una fede che sia coerente, fruttuosa e centrata su Cristo.
[1] Dio ritiene la leadership della chiesa locale talmente importante da trattarla quattro volte nel Nuovo Testamento: Atti 20:28-38; I Timoteo 3:1-7; Tito 1:5-9; I Pietro 5:1-4. In ognuno degli elenchi contenuti in questi brani viene dato risalto al carattere e alla competenza teologica del leader. A Dio interessa prima chi sei e soltanto dopo che cosa fai, anche perché le azioni scaturiscono sempre dall’identità.
[2] David Platt, “1 Timothy”, in Christ-Centered Exposition. Exalting Jesus in 1 & 2 Timothy and Titus, a cura di David Platt, Daniel L. Akin e Tony Merida, B&H Academic, Nashville (TN) 2013, p. 52.
[3] È facile comprendere che “supervisore” e “anziano” sono intercambiabili (Tito 1:5).
[4] Questa virtù è tanto importante per la salute della chiesa che Paolo la nomina cinque volte nei primi due capitoli (Tito 1:7; 2:2; 2:5; 2:6; 2:12).
[5] Richard Baxter, The Reformed Pastor, Banner of Truth, Edinburgh (UK) 1979, pp. 63, 67, 68.