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Un Potenziamento Profetico
Il Battesimo nello Spirito Santo

Alcuni anni fa, il responsabile di una chiesa domestica cinese ha commentato: “Quando i cristiani occidentali leggono il libro degli Atti, vedono in esso delle storie che ispirano; quando noi credenti cinesi leggiamo il libro degli Atti, lo vediamo nella nostra vita”. Il senso delle parole del mio amico cinese era chiaro: la loro personale esperienza con la persecuzione influenzava il modo in cui si accostavano alla narrazione di Luca. I credenti cinesi tendono a leggere Luca-Atti con un senso di urgenza e un profondo coinvolgimento, una fame generata dalla condizione di bisogno in cui versano costantemente. Di conseguenza, si identificano facilmente con le lotte di Pietro e Giovanni, di Stefano e di Paolo e accettano con gioia la promessa dell’abilitazione dello Spirito per perseverare e rendere un’audace testimonianza per Gesù a fronte di ogni forma di opposizione.


Nel commento del mio amico è implicita anche la convinzione che i cristiani che vivono in nazioni stabili e agiate, cristiani che vivono in contesti in cui la Chiesa ha una storia lunga e leggendaria, potrebbero avere difficoltà a leggere il Libro degli Atti degli apostoli in questo modo. Stava suggerendo che per alcuni di questi credenti in Cristo potrebbe essere difficile identificarsi con le difficoltà e i bisogni dei primi discepoli e che quindi non leggerebbero con lo stesso sentimento di solidarietà o con il medesimo senso di urgenza.

Credo che questa conversazione tocchi quello che è forse il contributo maggiore che il Movimento pentecostale sta dando al mondo ecclesiastico in senso lato: sta esortando la Chiesa universale a guardare all’opera in due volumi di Luca con occhi completamente nuovi. In questo processo, sta inoltre incoraggiando la Chiesa a riconsiderare la propria concezione della potenza dello Spirito Santo, nonché il proprio bisogno di questa presenza soprannaturale. È proprio in Luca-Atti che troviamo il messaggio centrale e distintivo del Movimento pentecostale.

Fin dai primi giorni del risveglio che la Chiesa ha sperimentato, i pentecostali hanno affermato che tutti i cristiani possono, e anzi dovrebbero, realizzare questo battesimo nello Spirito Santo “distinto dall’esperienza della nuova nascita e successivo a essa”.  Questa interpretazione del battesimo di Spirito scaturisce naturalmente dalla convinzione che lo Spirito sia venuto sui discepoli a Pentecoste (Atti 2), non come fonte di un’esistenza nel nuovo patto o di una nuova vita spirituale (rigenerazione), ma piuttosto come fonte di potenza in vista di una testimonianza efficace.

I pentecostali, come R. A. Torrey, resistono alla tentazione di interpretare il battesimo nello Spirito Santo unicamente come fonte della rigenerazione e culmine della conversione (cfr. I Corinzi 12:13).  Invece, i pentecostali prendono sul serio la descrizione di Luca: “Ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su voi e mi sarete testimoni ... fino all’estremità della terra” (Atti 1:8).  Questa interpretazione del battesimo di Spirito ha conferito al Movimento pentecostale la propria identità e ha rappresentato un elemento di forte coesione, nonché il suo focus missiologico.

La rapida crescita delle chiese pentecostali in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi del secondo e del terzo mondo, rende difficile per la Chiesa globale ignorare questo movimento e la sua teologia. Anzi, le chiese pentecostali sono cresciute con tale rapidità che “alcuni storici chiamano il XX secolo il ‘se-colo pentecostale’”.  Quindi prestiamo ascolto alla chiamata e volgiamoci di nuovo alle pagine di Luca-Atti. Più nello specifico, cerchiamo di comprendere ciò che Luca intende quando parla di persone “[battezzate] in Spirito Santo” (Luca 3:16; Atti 1:5; 11:16). Spero di raggiungere questo obiettivo analizzando alcuni testi particolarmente significativi tratti dal Vangelo di Luca, brani che confermano l’approccio pentecostale, illustrando il dono del “battesimo in Spirito” come una concessione di potenza in vista della missione, e quindi un’esperienza chiaramente distinta dalla conversione.

La profezia di Giovanni il battista

La profezia di Giovanni il battista, riguardante Colui che battezzerà in Spirito e con il fuoco, riportata in Luca 3:16, 17, riveste una particolare importanza per il nostro studio:

“Giovanni rispose, dicendo a tutti: ‘Io vi battezzo in acqua, ma viene colui che è più forte di me, al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio dei calzari. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Egli ha in mano il suo ventilabro per pulire interamente la sua aia e raccogliere il grano nel suo granaio, ma la pula la brucerà con fuoco inestinguibile’”. 

L’interpretazione di questa profezia, con particolare riguardo alle funzioni che essa attribuisce allo Spirito Santo, è fondamentale, poiché Luca la vede almeno parzialmente adempiuta proprio a Pentecoste, in occasione del battesimo nello Spirito dei discepoli (Atti 1:4, 5). James Dunn  parla a nome di molti quando afferma che la profezia presenta lo Spirito come “autore di purificazione e raffinazione per coloro che si erano ravveduti, distruttivo ... per quelli che si mostravano impenitenti”.  Tuttavia, credo che questa interpretazione debba essere declinata alla luce del contesto ebraico, dei riferimenti più immediati laddove si utilizza la metafora della vagliatura e del quadro più ampio di Luca-Atti.

Il contesto ebraico appare particolarmente istruttivo. Non ci sono riferimenti pre-cristiani a una elargizione messianica dello Spirito che purifica e trasforma l’individuo. Tuttavia, c’è un’abbondanza di brani che definiscono il Messia dotato dello Spirito di Dio per governare e giudicare (per esempio, I Enoch 49:3; 62:2). Isaia 4:4 fa riferimento allo Spirito di Dio come a un mezzo attraverso il quale la nazione di Israele (non gli individui!) sarà setacciata, i giusti saranno separati dagli empi e così la nazione sarà purificata. Diversi brani legano questi due concetti. Quello che colpisce di più è forse lo pseudoepigrafo Salmo di Salomone 17:26-37, che spiega come il Messia, “potente nello Spirito” (17:37), purificherà Israele espellendo dalla nazione tutti gli estranei e i peccatori. Isaia 11:2-4 dichiara che il Messia, reso potente dallo Spirito, farà morire gli empi “con il soffio [ruach] delle sue labbra”.  In questo contesto, non è difficile concepire lo Spirito di Dio come uno strumento impiegato dal Messia per vagliare e purificare la nazione.  Questi brani, anzi, suggeriscono che quando Giovanni ha parlato di un diluvio messianico dello Spirito, facendo ricorso a un linguaggio metaforico, aveva in mente gli oracoli mossi dallo Spirito pronunciati dal Messia (cfr. Isaia 11:4), delle autentiche esplosioni dello Spirito che avrebbero separato il grano dalla pula.

Poiché Luca scrive alla luce della Pentecoste, vede il quadro più ampio e applica la profezia alla testimonianza della prima Chiesa, che è guidata dallo Spirito (Atti 1:4, 5) e separa il grano dalla pula (Luca 3:17). Questa interpretazione è avvalorata dalla metafora della vagliatura, nella quale il vento è l’agente che svolge la cernita, separando e distinguendo. Poiché il termine tradotto con “vento” in greco (πνεῦμα) e in ebraico (ruach) è usato anche con riferimento allo “Spirito”, il simbolismo è particolar-mente suggestivo. La profezia di Simeone, in Luca 2:34, prefigura la testimonianza ispirata dallo Spiri-to e il suo impatto. Riferendosi a Gesù, infatti, Simeone dichiara: “Ecco, egli è posto a caduta e a rialzamento di molti in Israele”.

In breve, Giovanni non ha descritto l’opera dello Spirito Santo come volta a purificare gli individui che si pentono, bensì come un “soffio” di Dio che avrebbe purificato la nazione. Luca vede questa profezia, almeno per ciò che riguarda l’opera di vagliatura dello Spirito, pienamente adempiuta nella missione della Chiesa, guidata dallo Spirito. Per i nostri scopi è fondamentale comprendere che Luca non presenta il battesimo nello Spirito come fonte di purificazione del singolo, ma come forza che anima la testimonianza della Chiesa.  

La missione dei settanta

Esaminiamo adesso un brano che si trova esclusivamente nel Vangelo di Luca, la missione dei settanta (Luca 10:1-16). Tutti i Vangeli sinottici riportano le parole con cui Gesù istruisce i Dodici prima di inviarli per la loro missione. Soltanto Luca riporta un secondo invio di discepoli, in numero maggiore (Luca 10:1-16). In Luca 10:1 leggiamo: “Dopo queste cose, il Signore designò altri settanta [alcuni manoscritti riportano “settantadue”] discepoli e li mandò a due a due davanti a sé, in ogni città e luogo dove egli stesso stava per andare”. Segue una serie di istruzioni dettagliate, alla fine delle quali Gesù ricorda l’autorità di cui dispongono: “Chi ascolta voi ascolta me; chi respinge voi respinge me e chi rifiuta me rifiuta colui che mi ha mandato” (Luca 10:16).

Una domanda centrale ruota attorno al numero di discepoli mandati e al suo significato. Su questo punto, i manoscritti assumono posizioni difformi. Alcuni riportano “settanta”, altri “settantadue”. Bruce Metzger,  in un suo articolo sull’argomento, ha notato che le evidenze dei manoscritti sono equamente divise e che tutte le considerazioni non sono in ogni caso decisive. Pertanto, egli è giunto alla conclusione che il numero “non può essere stabilito con certezza”.  Studi più recenti hanno ampiamente concordato con Metzger, con una maggioranza che vede cautamente nell’indicazione dei “settantadue” una soluzione più problematica.  Pur essendo impossibile stabilire questo numero con certezza, nell’esaminare il valore attribuibile al testo, sarà importante tenere a mente la natura contrastante delle evidenze fornite dai manoscritti.

La maggior parte degli studiosi concorda che il numero (per convenienza diremo che è “settanta”) abbia un significato simbolico. È certo che la scelta da parte di Gesù di dodici discepoli non sia stata casuale. Il numero dodici, infatti, simboleggia chiaramente la ricostituzione di Israele (Genesi 35:23-26), il popolo di Dio. Questo ci porta a ritenere che anche il numero settanta sia radicato nell’Antico Testamento e che abbia una rilevanza simbolica. Sono state avanzate numerose ipotesi,  ma ritengo che il contesto di questo riferimento ai “settanta” debba essere ricercato in Numeri 11:24-30, laddove si afferma che l’Eterno “prese dello spirito che era su lui, e lo mise sui settanta anziani” (Numeri 11:25). Come diretta conseguenza di questa “condivisione” di spirito, i settanta anziani che si erano radunati attorno alla tenda di convegno per un certo tempo avevano profetizzato. Altri due anziani, Eldad e Medad, però, non erano andati alla tenda ed erano rimasti nell’accampamento. Ciononostante, lo Spirito era caduto anche su di loro e avevano iniziato a profetizzare e avevano continuato a farlo nel tempo. Giosuè, udita questa notizia, era corso da Mosè e lo aveva esortato a fermarli. Mosè aveva risposto: “Sei tu geloso per me? Oh! fossero pur tutti profeti nel popolo dell’Eterno, e volesse l’Eterno mettere su di loro il suo Spirito!” (Numeri 11:29).

La proposta di Numeri 11 presenta una serie di vantaggi rispetto ad altre soluzioni che sono state prospettate. 

1. Spiega le due tradizioni testuali che sono alla base di Luca 10:1 (quanti hanno effettivamente profetizzato in Numeri 11?); 

2. Trova compimento specifico nella narrazione di Atti; 

3. Si collega a uno dei grandi temi di Luca-Atti e cioè all’opera dello Spirito Santo; 

4. Numerose allusioni a Mosè e alle sue azioni nella narrativa di viaggio di Luca supportano l’idea che il simbolismo che soggiace al riferimento lucano ai Settanta vada individuato in Numeri 11.  

Avendo ben chiaro questo contesto, l’importanza del simbolismo si trova nell’aumento del numero di discepoli “mandati” in missione, che passa da dodici a settanta. Il riferimento ai settanta ricorda il desiderio di Mosè: “Oh! fossero pur tutti profeti nel popolo dell’Eterno” e, in questo modo, punta dritto alla Pentecoste (Atti 2), al momento in cui questo desiderio trova il suo compimento. Nel corso del Libro degli Atti, l’adempimento dell’auspicio di Mosè continua man mano che Luca descrive la discesa dello Spirito di profezia in occasione del progresso dell’attività missionaria, per esempio nel caso dei credenti riuniti in Samaria (Atti 8:14-17), in casa di Cornelio (Atti 10:44-48) a Efeso (Atti 19:1-7). Il riferimento ai Settanta, quindi, non è unicamente un’anticipazione della missione della Chiesa rivolta ai Gentili; anzi, prefigura l’effusione dello Spirito su tutti i servi del Signore e la loro partecipazione uni-versale alla missione di Dio (Atti 2:17, 18; cfr. 4:31). 

Nella visione di Luca, ogni membro della Chiesa è chiamato e riceve potenza per assumere la vocazione profetica di Israele ed essere quindi una “luce per le nazioni”, rendendo un’audace testimonianza per Gesù (Atti 1:4-8; cfr. Isaia 49:6).  Luca rileva che, ben lungi dall’essere unica, irripetibile e limitata a pochi eletti, l’abilitazione profetica ricevuta dai discepoli a Pentecoste è a disposizione di tutto il popolo di Dio. A Pentecoste, il desiderio di Mosè comincia a realizzarsi. Luca 10:1 anticipa il compimento di questa realtà.

In breve, Luca presenta l’invio dei Settanta, con la chiamata a guarire gli infermi e a proclamare “il regno di Dio” (Luca 10:9; cfr. Atti 8:12), come un modello per il successivo “mandato” di tutti i disce-poli di Gesù che inizia a Pentecoste.  La natura missiologica di questo “invio” e l’unzione (o battesimo nello Spirito, cfr. Atti 1:5) che lo rende possibile non possono essere minimizzati. Questo brano, quindi, offre un sostegno solido alla posizione pentecostale.

Potenza dall'alto

Nell’ultimo capitolo del Vangelo di Luca, si attribuisce un sorprendente risalto alla necessità della morte e della risurrezione di Gesù. Questo tema inizia con il messaggio che i due angeli rivolgono alle donne presso la tomba di Gesù. Dicono alle discepole spaventate: “Perché cercate il vivente tra i morti? Egli non è qui, ma è risuscitato; ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che il Figlio dell’uomo doveva [δεῖ] essere dato nelle mani di uomini peccatori, essere crocifisso e il terzo giorno risuscitare” (Luca 24:5-7).

Lo stesso tema prosegue nella conversazione che Gesù intrattiene con i discepoli sulla strada per Emmaus. Questi due uomini, in preda allo sconforto e incapaci di riconoscere il Signore risorto, raccontano tutto ciò che era accaduto a Gesù. Definiscono il Suo ministerio “potente in opere e in parole” e parlano della Sua crocifissione, della tomba vuota e della sbalorditiva notizia degli angeli secondo cui Gesù era vivo. A questo punto, Gesù esordisce con queste parole: “O insensati e lenti di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno detto! Non era necessario che il Cristo soffrisse queste cose ed entrasse quindi nella sua gloria?” (Luca 24:25, 26). Nel versetto successivo, si comincia a capire il motivo per cui quegli eventi fossero imprescindibili: “E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano” (Luca 24:27).

Infine, il tema raggiunge il culmine con l’apparizione di Gesù ai discepoli riuniti a Gerusalemme. Egli dice loro: “Queste sono le cose che io vi dicevo quando ero ancora con voi: che era necessario [δεῖ] che tutte le cose scritte di me nella legge di Mosè, nei profeti e nei Salmi fossero adempiute” (Luca 24:44). Poi “aprì loro la mente per comprendere le Scritture” (Luca 24:45). Qui, però, leggiamo che, oltre ad aver rivelato ai discepoli il significato dei passi dell’Antico Testamento relativi alla morte e alla risurrezione del Messia (Luca 24:46), Gesù ha mostrato anche il proposito della missione riservata alla Chiesa, traendo gli insegnamenti direttamente dalle Scritture (Luca 24:47). Infatti, dice: “Nel suo [di Gesù] nome si sarebbe predicato il ravvedimento e il perdono dei peccati a tutte le genti, cominciando da Gerusalemme. Voi siete testimoni di queste cose” (Luca 24:47, 48).

È interessante esaminare da quali testi Gesù abbia ricavato le illustrazioni per ammaestrare i discepoli. Di sicuro, è stato il più grande studio biblico mai condotto. Di quali Scritture si è servito Gesù per consentire loro un’adeguata comprensione? Anche se nessuno di noi era presente, Luca ci fornisce numerosi indizi per identificare i testi chiave presi in esame. Per esempio, quali passaggi dell’Antico Testamento parlano della morte e risurrezione del Messia? Quasi certamente uno dei testi su cui Gesù “aprì loro la mente” a questo riguardo è Isaia 53. Successivamente, nella narrazione di Atti, Luca cita una porzione di Isaia 53 raccontando la storia dell’incontro tra Filippo e l’eunuco etiope. “L’eunuco, rivolto a Filippo, gli disse: ‘Di chi, ti prego, dice questo il profeta? Di sé stesso, oppure di un altro?’” (Atti 8:34). Cominciando proprio da questo passo, Filippo “gli annunciò Gesù” (Atti 8:35).

Abbiamo indizi importanti anche riguardo ai passi che Gesù ha utilizzato per insegnare sulla missione della Chiesa. Uno dei testi fondamentali è sicuramente Isaia 49:6.  In occasione del sermone che Paolo e Barnaba esposero alla sinagoga di Antiochia di Pisidia, essi citano espressamente questo brano (Atti 13:47), che fa anche da sfondo alla promessa di Gesù in Atti 1:8 che recita: “Ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su voi e mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all’estremità della terra”.  Le parole “le estremità della terra” fanno eco a Isaia 49:6. Questo importante versetto, che ha indubbiamente contribuito a formare l’identità della prima Chiesa, recita: “Egli [l’Eterno] dice: ‘È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d’Israele; voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra’” (Isaia 49:6).

Su questo sfondo, le parole di Gesù in Atti 1:8 assumono un significato completamente nuovo. Rispondendo alla domanda dei Suoi discepoli, sicuramente riduttiva ed etnocentrica, “Signore, è in questo tempo che ristabilirai il regno a Israele?” (Atti 1:6), Gesù dichiara che non dovrebbero preoccuparsi del ristabilimento di Israele. Se ne sta occupando direttamente Lui. Il piano dell’Eterno per loro, invece, è più ampio di quanto siano in grado di immaginare. Si servirà di loro non soltanto per ristabilire la loro nazione ma per adempiere la chiamata profetica rivolta a tutto Israele. Dovranno dunque essere “luce delle nazioni”. 

A questo punto, scopriamo il motivo dell’enfasi posta sulla necessità della morte e risurrezione di Gesù. Fa tutto parte del meraviglioso, inarrestabile e incredibile piano di Dio, un progetto anticipato nelle Scritture (vale a dire nell’Antico Testamento) che sorprendentemente include anche noi (Luca 10:1; Atti 2:17, 18). Noi stessi siamo stati chiamati a dichiarare il Suo “nome ... a tutte le genti” (Luca 24:47). Anche noi siamo testimoni di questi eventi ... testimoni “fino alle estremità della terra” (Atti 1:8). E a questo punto viene formulata la promessa: “Ed ecco, io mando su voi quello che il Padre mio ha promesso; quanto a voi, rimanete in questa città, finché dall’alto siate rivestiti di potenza” (Luca 24:49). Torrey aveva ragione: questa è la vera natura della potenza che si manifesta con la Pentecoste.

Tratto dal libro
"Cristo al centro: la natura evangelica della teologia pentecostale" 



Ravvedimento è ... discepolato

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